Newsletter 04 – Taddeo di Bartolo nella cappella Oliveri in Santa Caterina
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Taddeo di Bartolo nella cappella Oliveri in Santa Caterina
Un maestro senese nel Borgo del Finale a fine Trecento
La recente mostra dedicata a Taddeo di Bartolo (Siena 1362 ca.-1422), ospitata a Perugia nella Galleria Nazionale dell’Umbria, ha riportato in evidenza una delle più significative figure che segnarono la pittura toscana nel passaggio tra Tre- e Quattrocento.
La mostra, incentrata sullo smembrato polittico bifronte realizzato nel 1403 per la chiesa di San Francesco al Prato a Perugia, ha ripercorso l’attività e le opere di questo importante maestro, la cui presenza è documentata a Genova e nel Ponente ligure nel 1391-93 e, in un secondo momento, nel 1397-98.
Dopo gli esordi nella nativa Siena, Taddeo seguì infatti quelle correnti che portarono molti artisti toscani a soddisfare le esigenze di facoltose committenze non solo locali attratte dalle loro aggiornate capacità artistiche e ancora tradizionalmente legate al fondo d’oro di polittici destinati a chiese e ad altari privati.
Il pittore è documentato nel 1391 a Savona, dove nel gennaio successivo ricevette dai massari della cattedrale di Santa Maria la commessa per eseguire alcune figure di santi, dopo che non aveva avuto esito l’incarico in precedenza attribuito -con un compenso di 50 fiorini d’oro- ad un altro toscano presente in città, il fiorentino Francesco di Michele. Dopo aver intascato un cospicuo acconto, costui si era infatti dileguato senza avere neppure iniziato l’opera.
Nel 1393, Taddeo era a Genova, dove Cattaneo Spinola gli commissionò due tavole d’altare per la chiesa gentilizia di San Luca, andate perdute. In questo primo soggiorno ligure realizzò inoltre alcuni affreschi nella chiesa di San Gerolamo a Quarto e uno, col Redentore, nell’abside di Santa Maria di Castello.
Della sua attività ligure, il catalogo della mostra perugina, curato da Gail E. Solberg (Taddeo di Bartolo, Silvana Editoriale), presenta le Madonne con Bambino delle chiese genovesi di Santa Maria delle Vigne (1397-98 circa) e di San Rocco di Principe, per la quale si ravvisa la predominante collaborazione con un pittore locale, quel Nicolò da Voltri al quale nel Finale si riconduceva il dipinto della Madonna di Finalpia.
Tra le opere di Taddeo pervenuteci nel Ponente ligure, purtroppo la mostra non ha accolto né l’importante Battesimo di Cristo nella chiesa di Santa Maria Assunta a Triora (1397), né la Madonna col Bambino tra angeli e committenti (circa 1391-92 ?), proveniente dal Finale e attualmente nella Pinacoteca Civica di Savona. Per quest’ultima opera, attribuita a Taddeo di Bartolo per la prima volta da B. Berenson nel 1932, nel catalogo della mostra perugina si fa solo un breve cenno, prospettando anche in questo caso una poco plausibile collaborazione con Nicolò da Voltri.
Il dipinto, una tempera su tavola (cm 101×63, dopo una possibile riduzione delle dimensioni originali), forse ma non necessariamente parte di un più articolato polittico, proviene con ogni probabilità dall’altare della cappella absidale destra, dedicata a Santa Maria, nella chiesa domenicana di Santa Caterina in Finalborgo.
Questa cappella era posta sotto il patrocinio degli Oliveri, una delle più eminenti famiglie locali inserita nell’entourage dei Del Carretto. Nel 1391 Giulio Oliveri risulta tra i testimoni del testamento di Lazzarino I Del Carretto rogato in Castel Gavone, mentre pochi anni dopo nella casa di Piero Oliveri nel Borgo del Finale risiedeva Antoniotto Adorno, a più riprese doge di Genova.
Secondo i canoni tipici di Taddeo, il dipinto raffigura la Vergine che tiene in braccio il Bambino, che con la sinistra afferra il velo della madre, mentre nella destra stringe uno sfuggente cardellino. Ai lati della figura centrale sono disposte due coppie di angeli nimbati, mentre in basso compaiono le piccole figure dei due committenti genuflessi.
Come di recente osservato da Massimiliano Caldera, la tavola, oltre ai riferimenti alla tradizionale iconografia bizantina, “ricapitola con forbita eleganza le passate vicende della pittura senese, da Duccio a Simone Martini, rivivificate ed adattate al gusto locale”.
Nella stessa cappella, è stato accostato alla mano di Taddeo il volto della Vergine Annunziata affrescato in uno dei riquadri della parete di fondo. Il dipinto è anch’esso sicuramente riconducibile ad un ambito senese anche se con ogni probabilità non fu eseguito dalla mano del maestro.
Una evidente dissonanza si può comunque cogliere tra la delicatezza e diafana dolcezza del viso e la restante immagine della Vergine, colta nell’atto di chiudersi con la mano la veste sul petto. La figura appare quindi da attribuirsi ad uno o più pittori che parteciparono alla complessa decorazione di questa cappella, incentrata su quei due anonimi “Maestri della Cappella Oliveri”, che in quegli anni realizzarono il ciclo di affreschi con Storie di Maria e del Cristo, anche in questo caso con chiari rimandi ai temi della pittura toscana del periodo ed ai Vangeli apocrifi.
Nessuna fonte documentaria menziona l’esistenza della tavola della Madonna in Santa Caterina, forse emigrata dalla chiesa prima del periodo napoleonico. Nel 1885, “il pregevole quadro di ignoto autore, della scuola di Giotto…” era stato segnalato alla Pinacoteca di Savona, che lo acquistò per 220 Lire dalla domestica di un sacerdote residente a Finalborgo, che ne era divenuta la proprietaria.
[GM]
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