Newsletter 13 – Nelle stanze del Marchese
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Nelle stanze del Marchese
Antichi miti, grottesche e sensualità in Castel Gavone
Castel Gavone, la dimora fortificata dei Del Carretto sorta sulla dorsale del Bechignolo forse nel XII secolo e ricostruita da Giovanni I nel 1452, pur mantenendo le sue originarie funzioni militari, nel tempo assunse sempre più le caratteristiche di una prestigiosa residenza destinata a ospitare nelle sue stanze la corte marchionale.
In particolare, i piani alti della “torre dei diamanti” e degli ambienti retrostanti, eretti intorno al 1490, erano destinati alla vita privata della famiglia marchionale con la “camera depincta” e la sua “recamera”, che guardava sulla corte interna, oltre alla “camera dei laggioni”.
Nei due ambienti superiori della torre si conservano, nelle lunette, affreschi con scene tratte dal mito di Proserpina: il suo rapimento da parte di Plutone mentre la dea raccoglie fiori presso la fonte Aretusa, nelle cui acque è immersa la ninfa Ciane; in una seconda scena sua madre Cerere cerca la figlia con una fiaccola in mano su un carro trainato da un drago.
Se la ricorrenza del carro nelle due scene è un chiaro riferimento onomastico ai Del Carretto, il mito di Proserpina è legato all’alternarsi delle stagioni e alla fertilità della terra, ma anche si incentra sull’invaghimento e il rapimento della giovane trascinata negli Inferi da parte del dio della terra e della morte.
Lo storico Giovanni Salvago, nelle sue “Historie di Genova”, paragonò Peretta Usodimare Cybo a Proserpina e scrisse come il principe Andrea Doria era nelle mani “di quella soa moglie, la quale lo dominava tanto che la fece che in soa vita diede a uno suo figliolo li Stati che havia datto Cesare”. Il riferimento è alla donazione del principato di Melfi (1535) a Marcantonio, il figlio nato dalle fastose nozze di Peretta con Alfonso I Del Carretto, celebrate nel 1488 nella Roma di papa Innocenzo VIII Cybo, suo zio materno.
Alfonso I morì intorno al 1515 e, dopo dodici anni di vedovanza, Peretta “uscì dall’Ade” e unì le sue sorti a quelle di Andrea Doria, sposandolo in seconde nozze nel 1527 e morendo nel 1550. Nello stesso anno il rapporto tra le due famiglie, i Del Carretto e i Doria, fu ulteriormente consolidato con la stesura del contratto per il futuro matrimonio, in effetti celebrato solo nel 1558, tra il giovane erede di Andrea Doria, il nipote Giovanni Andrea, e la coetanea Zenobia del Carretto, figlia di Marcantonio e di Giovanna de Leyva.
La decorazione “alla moderna” delle camere residenziali della “torre dei diamanti” potrebbe quindi essere datata intorno alla metà del XVI secolo o agli anni immediatamente successivi, probabilmente prima di quel fatidico 1558, quando Alfonso II fu costretto dalla rivolta popolare e dall’intromissione di Genova nelle vicende del Finale ad abbandonare il castello e il feudo.
Il ciclo decorativo deve essere ricondotto ad artisti di scuola genovese, che fanno ampio rimando alla maniera tosco-romana ormai dominante in Liguria dopo l’intervento di Perin del Vaga nel Palazzo del Principe a Fassolo.
Alla possibile attribuzione delle lunette con scene mitologiche alla maniera di Giovanni, se non di Luca Cambiaso (come proposto da Massimo Bartoletti e Massimiliano Caldera), si affianca lo stile di Andrea e Ottavio Semino nelle decorazioni a grottesche su fondo bianco del camerino contiguo alla camera principale e della volta a botte del vano superiore, con figure mitologiche in lotta nei riquadri.
Una raffinata sensualità pervade questi dipinti, con raffigurazioni femminili ignude colte mentre si immergono nelle acque. Ma questo messaggio viene anche ripreso nelle grottesche, con nudi femminili metamorfici e sfingi, ormai diffusi dopo il rinvenimento alla fine del XV secolo delle decorazioni della sotterranea Domus Aurea neroniana tra i colli del Celio e dell’Esquilino a Roma e lo straordinario successo riscosso dalle “grottesche” antiche venute alla luce.
Dalle macerie di Castel Gavone, conseguenti alla distruzione genovese del 1715, provengono numerosi frammenti di intonaci dipinti con pregevoli raffigurazioni a grottesche riconducibili al grande progetto decorativo e di riqualificazione residenziale del nucleo centrale del castello. Alcuni esempi di questi affreschi sono attualmente esposti presso il Museo Archeologico del Finale.
[GM]
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