Newsletter 16 – Il Mausoleo del generale Caviglia a San Donato
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Il Mausoleo del generale Caviglia a San Donato
Storie tra cielo e mare di un vescovo aretino
Sono da poco passati settant’anni dal 22 giugno 1952 quando, alla presenza del presidente della Repubblica Luigi Einaudi, le spoglie del generale finalese Enrico Caviglia (1862-1945), attuando le sue volontà dopo la morte avvenuta sette anni prima, furono trasferite nel mausoleo ricavato nella seicentesca torre di avvistamento sospesa sul Capo di San Donato tra cielo e mare.
L’adattamento della torre a mausoleo fu sostenuto dal “Comitato nazionale per l’erezione del sepolcro del Maresciallo d’Italia Caviglia”, formatosi nel 1948 nell’ambito dell’Associazione degli ex-combattenti liguri, e costituì un’estrema manifestazione del mito della memoria individuale e collettiva collegato alla Grande Guerra del 1915-18.
Il progetto fu affidato all’architetto finalese Giuseppe Denegri (1886-1976), che previde la collocazione all’interno della torre di un sarcofago in Pietra di Verezzi, la costruzione di un piccolo altare, la sistemazione degli interni con lastre in Pietra di Finale, una pavimentazione in marmo serpentino e soffittatura a cassettoni in legno di quercia. L’apertura di alcune finestrelle illuminate dall’interno doveva dare l’impressione notturna della torre faro.
L’idea iniziale di Denegri prevedeva un monumentale ingresso con un pronao ad arco in pietra squadrata e due imponenti sculture di guerrieri medievali in corazza e armi ai lati: “Due giganti, enormi, posti a guardia, vegliano sempre”.
È evidente in questo progetto non realizzato, e conservato nel fondo Denegri nell’Archivio Storico del Finale, una forte e tardiva reminiscenza neo-medievale e romantica, ma anche il riferimento alla figura allegorica della Gloria realizzata nel 1923 da Arturo Martini (1889-1947) per il Monumento ai Caduti di Vado Ligure.
Un bozzetto per i due guerrieri fu richiesto al savonese Giovanni “Nanni” Servettaz (1892-1973), che predispose un modello in gesso ricevendo un compenso di 50.000 lire.
Peraltro, difficoltà di bilancio obbligarono Denegri e i responsabili del progetto a ridimensionare le proposte iniziali. La componente scultorea dell’intervento si limitò così a un bassorilievo e a uno stemma in pietra grigia, una metadiorite di Malanaggio in Val Chisone fornita dalla ditta Guglielminotti di Torino.
L’esecuzione del bassorilievo fu affidata allo scultore genovese Armando Gerbino (1907-1991), che spedì da Pietrasanta nel maggio 1952 le quattro formelle con Scene della Vita di San Donato, secondo vescovo di Arezzo, martirizzato -secondo la tradizione- nel 362.
Così, da sinistra a destra, troviamo: la guarigione di Asterio posseduto dal demonio; l’ordinamento di Donato a diacono e sacerdote da parte del vescovo aretino Satiro; il miracolo del calice eucaristico in vetro frantumato durante la celebrazione eucaristica dai pagani e ricomposto con la preghiera da Donato; il martirio per decapitazione del santo voluto dal prefetto Quadraziano.
Se in altre sue opere, come la lunetta dell’Annunciazione nella facciata della chiesa della SS. Annunziata di Genova Sturla, rimodellata da Carlo Ceschi nel 1942, Gerbino appare legato alla scultura toscana neorinascimentale, nelle Storie di San Donato offre una dimensione in chiave più modernista, sicuramente influenzata dalla conoscenza delle opere di Arturo Martini, in una visione peraltro di saturazione degli spazi e di narrazione santorale di forte reminiscenza medievale.
A compensazione delle spese sostenute, rimase invece affidata al torinese Stefano Borelli (1894-1962) la sola esecuzione dello stemma del generale, raffigurante una “caviglia” marinara posto sopra al bassorilievo.
[G.M.]
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