Newsletter 03 – Due affreschi votivi tardomedievali a Perti
…tra arte e archeologia, un territorio per te…
Due affreschi votivi tardomedievali a Perti
Immagini di devozione domenicana nel Finale a fine Quattrocento
“Open Door – Open Art Finale” ossia, volendo tradurre questo tema: “Porte aperte per un’arte accessibile nel Finale”. È questo uno dei principali scopi del Museo Diffuso del Finale-MUDIF, un progetto sostenuto dalla Fondazione Compagnia di San Paolo. Tra i suoi principali obiettivi c’è quello di fare conoscere e valorizzare opere d’arte poco note esistenti nel Finale, appunto “aprendo le porte” abitualmente chiuse dei monumenti che le custodiscono.
Tra queste opere possiamo includere due affreschi devozionali tardo-quattrocenteschi incentrati sul culto di beati domenicani nativi del Finale.
Il primo dipinto fu realizzato sulla parete laterale destra all’interno della chiesa di Nostra Signora di Loreto a Perti, anche nota come la “chiesa dei cinque campanili” per i quattro pinnacoli angolari e la lanterna centrale che la caratterizzano, sul modello della Cappella Portinari in Sant’Eustorgio a Milano, al quale abitualmente si fa riferimento.
Questa piccola chiesa, calata in un ambiente rurale dell’entroterra finalese, costituisce uno dei più sorprendenti esempi di architettura rinascimentale in Liguria. Anche sulla base dello stemma partito Del Carretto-Adorno posto su una targa murata su un pilastro angolare, la fondazione della chiesa è stata ricondotta a Giovanni I Del Carretto ed a Viscontina Adorno, le cui nozze furono celebrate nel 1452.
L’affresco, in cattive condizioni di conservazione dopo essere venuto alla luce durante gli interventi di restauro dell’edificio condotti da Carlo Ceschi nel 1942, raffigura in edicole ormai rinascimentali su un fondo arabescato due figure di beati con l’abito domenicano. L’uno sorregge un libro nella mano sinistra, mentre l’altro -molto più anziano- stringe tra le mani un rosario. Le due figure sono separate da una colonna dipinta, sulla quale campeggia uno stemma Del Carretto “a testa di cavallo”. I religiosi possono essere identificati con due frati che vissero nel locale convento domenicano di Santa Caterina originari del Finale: il beato Damiano Fulcheri di Perti (+1484), quello a sinistra, mentre il secondo personaggio potrebbe essere il beato Vincenzo Maglio da Orco (+1463). Ai piedi di quest’ultimo si intravede una testolina di fanciullo, che induce ad ipotizzare come l’affresco possa essere stato realizzato nella cappella gentilizia carrettesca quale atto devozionale per una grazia ricevuta, forse la guarigione di un bambino appartenente alla famiglia marchionale.
Purtroppo le condizioni del dipinto e il grave degrado che ha interessato la parte inferiore della superficie affrescata hanno di fatto cancellato la dedica che doveva esser presente alla sua base. Essa può essere ricostruita solo da una testimonianza orale raccolta da don Mario Scarrone relativa ad una scritta dipinta in caratteri gotici, con un Hoc opus fecit fieri… e la data 1493.
Il secondo brano affrescato è invece conservato sul lato destro del presbiterio di un altro edificio di Perti legato alla committenza dei Del Carretto: la chiesa di San Sebastiano, costruita intorno al 1490 sulla pendice prossima al fondovalle del Pora. La dedicazione della chiesa ad un santo protettore contro la peste induce anche in questo caso ad ipotizzare l’assolvimento di un voto da parte della famiglia marchionale.
L’affresco raffigura un frate domenicano, molto simile a quello precedentemente incontrato e quindi riconoscibile in fra’ Damiano Fulcheri, colto nell’atto di benedire da un pulpito ligneo. Ai suoi piedi due schiere di fedeli, gli uomini a sinistra e le donne dall’altro lato, fiancheggiano un religioso che sta confessando.
Per questo affresco, la conservazione della scritta dedicatoria ci consente di conoscere il committente dell’opera e la data di esecuzione: [+MCCCCL]XXXXIII die XIII agusti•hoc opus [fecit fieri A]rnardus Balestrerius pro devocione sua.
Le immagini dei due affreschi, attribuiti da Massimo Bartoletti ad un anonimo pittore piemontese forse originario del Monregalese, ne denunciano le cattive condizioni di conservazione. Si rende quindi necessario non solo aprire le porte dei monumenti che li ‘celano’, ma anche promuovere un restauro che ponga fine al rapido degrado delle superfici dipinte. In questo modo restituiremo piena leggibilità a queste testimonianze della devozione che alla fine del XV secolo circondava il convento di Santa Caterina nel Burgus Finarii e alcuni dei suoi frati, venerati ‘alla pari di santi’.
[G.M.]
NEWSLETTER – ARTE
RIMANI AGGIORNATO
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
RIMANI IN CONTATTO