Newsletter 06 – Tabernacolo di Finalpia
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Splendidi marmi del Finale
Il tabernacolo tardo-quattrocentesco di Finalpia
Nel Finale si conservano alcuni esempi di prestigiosi tabernacoli in marmo bianco realizzati da maestri lombardi attivi in Liguria tra la seconda metà del XV e i primi decenni del XVI secolo.
Tra questi, il tabernacolo ora murato sulla parete laterale sinistra del presbiterio della chiesa benedettina di Santa Maria di Finalpia costituisce sicuramente uno dei più pregevoli esempi. Nel 1906, quando era ancora collocato sul retro dell’altare maggiore, vengono riportate tracce di doratura delle figure, ormai scomparse.
L’opera è riconducibile al tipo di tabernacolo parietale tripartito, basato cioè su tre componenti distinte. Quale “edicola del sacramento”, questo modello trova numerose testimonianze, prima che nel clima di riforme del culto promosse dal Concilio di Trento (1545-1563), si imponesse la conservazione delle ostie consacrate in un tabernacolo posto al centro dell’altare.
L’esempio di Finalpia deve essere inquadrato in quella corrente artistica che ancora in una fase avanzata della seconda metà del Quattrocento mantenne i riferimenti alla cultura tardogotica con iniziali aperture in senso rinascimentale.
All’architettura e al mondo gotico richiama sicuramente la “fiammeggiante” cimasa. Su uno sfondo a slanciate e fini arcate a sesto acuto, una cornice trilobata decorata da gattoni sugli spioventi e delimitata da pinnacoli laterali, racchiude una scontata crocifissione con due angeli in volo che raccolgono nei calici il sangue del Cristo. Ai piedi della croce lo spazio è occupato dalle figure accovacciate di Maria e Giovanni evangelista dolenti.
La raffigurazione del Calvario è chiaramente riferita a schemi pittorici medievali ampiamente diffusi, fornendo un ulteriore esempio di quell’ampia permeabilità dei modelli esistente tra le varie arti in questo periodo.
Al rigido tradizionalismo della cimasa si contrappone la parte centrale del tabernacolo, dove all’interno di una aggiornata cornice a girali floreali si apre il vano per la conservazione della pisside, ora chiuso da una grata. Secondo un consolidato modello, nelle lesene laterali si inseriscono due nicchie sovrapposte per lato, culminanti in una calotta a valva di conchiglia, con le figure di San Giovanni Battista e San Pietro a sinistra; un santo evangelista -forse San Giovanni- e San Paolo a destra.
Infine, maggiori aperture culturali sembrano cogliersi nel peduccio, dove campeggia il volto di un cherubino tra ali spiegate finemente lavorate, sovrapposte a esuberanti foglie di acanto e realistici fiori. Al centro, una ghirlanda d’alloro contiene un Chrismon coronato con le lettere IHS, per Iesus, in caratteri gotici nastriformi.
Ai lati, due scudi a goccia perlinati contengono le iniziali D e B, ricondotte da padre Gregorio Penco al culto di San Bernardino da Siena (Divo Bernardino).
Non conosciamo il nome dello scultore, o forse meglio della bottega di scultori che realizzarono questo tabernacolo, opera di uno o più di quei maestri lombardi attivi a Genova e nel Ponente ligure nella seconda metà del XV secolo.
Su base stilistica, per la sua datazione si può pensare ad un momento successivo all’intervento attuato nella chiesa di Santa Maria di Pia da Viscontina Adorno, moglie di Giovanni I Del Carretto, ricordato nel tondo con la Vergine e il Bambino datato al 2 luglio 1463, ora murato all’esterno del convento su via Santuario.
Si potrebbe invece avanzare una datazione più prossima al 1476, quando Biagio Galeotto Del Carretto introdusse nel monastero gli Olivetani, con la mediazione del cardinale savonese Giuliano Della Rovere, destinato a diventare papa Giulio II nel 1503.
[G.M.]
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