Newsletter 11 – La foglia di fico di Adamo
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La foglia di fico di Adamo
La lunetta con San Giorgio e il drago da Castel Gavone (1461)
Nel 1870, lo storico savonese Nicolò Cesare Garoni, riferendosi alla cappella dedicata a San Giorgio in Castel Gavone e menzionata dal Filelfo nel Bellum Finariense (col. 1183), scriveva: ”… avanzano molte pietre artificiosamente lavorate di scarpello, una delle quali che stava sulla porta del tempio ha un bassorilievo bellissimo, rappresentante S. Giorgio che uccide il dragone e libera la vergine. Queste pietre sono in potere dei fratelli Sanguineti, e credo che si propongano di usarne in modo che restino esposte agli sguardi degli amatori delle arti e delle memorie patrie”.
Il riferimento è alla lunetta a sesto acuto in Pietra di Finale, datata sulla base 1461, recuperata dalle rovine di Castel Gavone dopo la distruzione genovese del 1715 e ancora oggi inserita nel portico ottocentesco, che dal fondovalle introduceva a villa Sanguineti all’Aquila.
È probabile che il portale, col suo arco in conci squadrati conclusi con una chiave decorata da un Agnus Dei secondo la più scontata tradizione, sia stato rimontato nelle sue forme originarie intercalando alcuni elementi di reintegro.
Il portale presenta una profonda strombatura con semicolonne a tortiglione o lisce, sormontate da una fascia di capitelli a volute decorati con motivi vegetali, testine apotropaiche e uno stemma carrettesco probabilmente non originale. L’arco è definito nella sua faccia a vista da una fine scanalatura con piccole punte di diamante. Se la struttura del portale appare riconducibile a modelli del tardogotico lombardo, il lessico decorativo fu ampiamente applicato nella ricostruzione di Castel Gavone da parte di Giovanni I Del Carretto dopo la disastrosa Guerra del Finale (1447-1450).
La lunetta scolpita è composta da due elementi monolitici sovrapposti in Pietra di Finale arenacea. In quello inferiore è raffigurato San Giorgio a cavallo nell’atto di trafiggere con la lancia il drago. Il santo, corazzato, porta uno scudo da giostra nel braccio sinistro, la spada sospesa sul fianco e un mantello dispiegato. Alla sua sinistra, su un rilievo che si erge su un paesaggio roccioso ingentilito da alcuni alberelli, è inserita la figura della principessa inginocchiata con le mani congiunte sul petto.
La raffigurazione dell’episodio di San Giorgio, tratto dalla Legenda Aurea di Iacopo da Varagine, appare allineata allo schema ampiamente diffuso in Liguria dalle molte botteghe di scultori lombardi attivi anche nel Finale a partire dalla metà del Quattrocento. Più originale e lontana dall’iconografia corrente appare invece la raffigurazione posta a riempire la parte superiore della lunetta. Al centro, un ieratico Padreterno, a mezzo busto, solleva il braccio destro nell’atto di benedire mentre nell’altra mano sorregge un cartiglio pendente. Si tratta di un’immagine per la quale sono stati di recente proposti confronti con opere ricondotte a botteghe di scultori originari dalla regione dei laghi lombardi e più in particolare da Carona.
Genuflessi ai lati del Creatore compaiono le immagini ignude di un barbuto Adamo, con un’evidente foglia di fico a coprire la nudità, e di Eva, con la mano destra protesa a celare il pube. In queste rigide figure traspaiono modelli iconografici più arcaici, ancora fortemente debitori della tradizione scultorea romanica, che di fatto nel Ponente ligure percorsero l’intero Medioevo.
Sulla base aggettante sulla quale è sospesa la scena si sviluppa la scritta in caratteri capitali epigrafici ·Mandavi·mandata·mea·cvstodiri·, cioè “Ho ordinato che i miei comandamenti fossero osservati”, con riferimento al passo del Deuteronomio (7,11-15) nel quale si ricorda la necessità di osservare i comandamenti divini affidati a Mosè.
Nella loro postura sottomessa, genuflessi e contriti ai lati del Creatore che sorregge il rotolo delle leggi, così come nel riferimento biblico, è implicito il richiamo all’obbligo di accogliere e mantenersi fedeli al potere marchionale che, dopo la riconquista del feudo nel dicembre 1450 e la ricostruzione di Castel Gavone, Giovanni I stava riaffermando – anche attraverso la committenza artistica – celando sotto la “foglia di fico” di Adamo un chiaro messaggio politico di affermazione personale e familiare.
[G.M.]
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